Microcosmo e macrocosmo del biologico italiano

Dal comune di Milena (CL)  una riflessione su cibo, territorio e civiltà della terra Di Lillo Alaimo Di Loro

Un canonico incontro con gli agricoltori, organizzato da un bravo e zelante Ispettore dell’agricoltura in un quasi anonimo comune della Sicilia alla presenza del Sindaco del paese e di un politico locale, un consigliere regionale di quella “onorata” assemblea regionale che qui in Sicilia consente l’appellativo di deputato regionale.

Una sala ben gremita di agricoltori, operatori economici e semplici cittadini, malgrado il caldo, in vero nella media della stagione, comunque della terza decade dell’agosto siciliano. Una circostanza ideale per una serena riflessione sul destino del territorio, dei borghi rurali e dell’agricoltura quale legante tra le prime due cose e tutte le altre che possono concorrere alla qualità della vita nelle comunità rurali. A partire dal cibo sano e territoriale, obbligatorio antefatto della qualità della salute delle popolazioni e dei sistemi ambientali. Fermo restando l’utilità di questo tipo di eventi, come del resto di tutte le occasioni di confronto su argomenti di grande attualità che riguardano comunque il futuro dei territori e la felicità delle popolazioni, in particolare in questa occasione si è soprattutto ribadito il concetto della utilità delle “strutture“.

Alludendo all’insieme di uffici regionali e nazionali che rappresentano il braccio operativo sul territorio per l’applicazione delle politiche comunitarie in campo agricolo, sia riguardo alle misure dirette, quali quelle previste dalla Pac che delle misure strutturali previste dai Psr e se vogliamo, almeno in linea teorica, dal Pnrr. Sino a qui nulla di strano, il ruolo dei funzionari onesti e virtuosi in fondo è sempre stato questo. Servire il territorio attraverso il sostegno previsto dalle politiche di settore. Perequando bene la spesa da attribuire ai beneficiari in modo da garantire la sua massima efficacia. E certamente i numeri presentati dallo zelante dr. Calafiore, dirigente dell’Ipa di Caltanissetta, che ha organizzato l’incontro, sicuramente lasciavano intravedere un ottimo lavoro svolto.

Ma quanto questo è sufficiente per consentire di sfuggire alla condanna della “desertificazione sociale” al suo territorio di competenza, a quel distretto di comuni ed in generale di tutti i comuni rurali italiani? È questo il quesito che dobbiamo porci con urgenza. Oggi ben 5mila degli 8mila comuni italiani ha già una popolazione inferiore a 5mila abitanti ed è vittima, da Siracusa ad Aosta, del nuovo “esodo rurale 4.0”, nonché esposto alle diseconomie di un settore agricolo il cui prezzo dei prodotti è mediamente inferiore al costo di produzione. In altre parole: siamo ancora convinti che l’approccio tradizionale alla questione della crisi del settore agricolo ha ancora un senso? O è giunto piuttosto il momento di cambiare metodo, magari proponendo un modello coraggioso che ribalti la visione delle cose e ritorni a dare dignità al lavoro degli agricoltori e ruolo sociale al cibo? È palese la necessità di un nuovo paradigma fondato sui principi dell’alimentazione sana e della sostenibilità dei sistemi produttivi e territoriali.

Con questo spirito e interrogativi, accetto di contribuire con un mio contributo alla discussione in corso. Provo allora a riassumere nelle righe che seguiranno quanto argomentato durante l’assemblea di Milena, aggiungendo qualche considerazione operativa su come l’approccio della ricca cultura del biologico italiano sia in grado di contribuire affinché territorio e comunità possano, piano piano, uscire dal pantano economico e sociale in cui oggi si dimenano.

L’agricoltura biologica, una volta “velleità di pochi nostalgici”, è oggi un modello fortunato, virtuoso e vincente. Peraltro è l’unica strada certificata e istituzionalmente riconosciuta di uso eco-compatibile della risorsa terra nel suo insieme, includendo in questa accezione i suoli agrari in sé, le acque meteoriche e di libero deflusso, la biodiversità e soprattutto il patrimonio di conoscenza plurimillenaria degli agricoltori.

L’agricoltura biologica, ormai onnipresente (almeno in linea teorica) nelle agende politiche europee e mondiali. Stenta però ancora a presidiare, senza se e senza ma, la tavola e le cucine degli italiani. Quando lo fa, lo fa ancora troppe volte attraverso i canali della distribuzione convenzionale e talvolta globale. Invece il ruolo dell’agricoltura biologica è, oggi più che mai, quello di contaminare l’approccio generale alla questione della sicurezza alimentare dei popoli e alla qualità dell’alimentazione come condizione necessaria per una qualità soddisfacente della salute delle persone, soprattutto rispetto alla recrudescenza delle malattie cronico degenerative ed oncologiche, oramai presenti con incidenza quasi epidemica un po’ in tutte le famiglie italiane.

Se è vero che siamo quello che mangiamo, come ha postulato Feuerbach, è oggi più che mai necessario seguire la raccomandazione del padre della medicina moderna, Ippocrate di Kos, allorquando sosteneva; “fa che la medicina sia il tuo cibo e che il cibo sia la tua medicina”.

Viene allora da lanciare un urgente allarme contro il rischio che oggi la stessa definizione di cibo sta correndo. La definizione viene, infatti, messa in crisi dalle nuove culture iper-industrialiste che spingono per sostenere la normalità di “mostruosità“ come la “carne sintetica”, le “farine di insetti“, i prodotti geneticamente modificati in generale (ora chiamati TUA) e così via.

Un “parterre” di finte soluzioni alla questione della sicurezza alimentare in generale che, oltre a sconfessare in nuce ogni canone di buona qualità del cibo, propone in sé una condizione allucinante e socialmente devastante. Condizione in cui il tradizionale ruolo dell’agricoltore, produttore del cibo, base della felicità dei popoli, e custode a presidio del territorio, viene svuotato di ogni significato, annichilito e ridotto perfino al silenzio. È forse questo lo scopo e l’obiettivo che la società moderna vuole perseguire?

Italiabio non è certo di questo avviso. Non facciamo pertanto mistero di sostenere che una via di uscita esiste e che per essere inequivocabilmente efficace deve partire dal basso, da quei territori che oggi soffrono il “dissanguamento sociale”, che vengono “sedotti da un pifferaio 4.0” che promette vantaggi e gratificazioni parametrati ad una visione della vita sempre più virtuale e lontana dal profumo della terra.

Ci rivolgiamo a quanti, dagli scranni delle istituzioni, si dichiarano platealmente sensibili alla questione ambientale e annunciano politiche nazionali e comunitarie attente ai temi della conversione ecologica e alla centralità del cibo che nutre (e non che uccide), a cominciare dal governo incrica che ha voluto ribattezzare il dicastero delle risorse agricole anche con l’appellativo di “Sovranità Alimentare”, per rimarcare che è con la concretezza dei fatti che si afferma la centralità del cibo.

Che deve essere biologico, sostenibile e giusto e deve mantenere il suo legame indissolubile con la terra. Alle Istituzioni chiediamo di affermare senza indugio e con atti concreti l’importanza del ruolo degli agricoltori, come unici detentori della capacità di produrre cibo che nutra correttamente il corpo e lo spirito. Ma non solo. Che consacri,  durante il processo produttivo, il salutare rapporto con l’ecosistema, contribuendo alla sua tutela e al suo rafforzamento.

Gli agricoltori bio, infatti, con la tutela della biodiversità, le rotazioni agrarie, il non uso dei concimi chimici, la valorizzazione della sostanza organica e la cattura del carbonio,  contribuiscono al contrasto del dissesto idrogeologico e delle emissioni climalteranti. Ad essi appartiene la ricostituzione di quella storica rete di solidarietà rurale che rappresentava un validissimo fronte contro il dilagare degli incendi estivi che con inaudita violenza rappresentano oggi la sintesi perfetta di un sistema territoriale che grida aiuto.

La richiesta di IaliaBio alla politica è quindi chiara: bisogna rendere i territori rurali attrattivi rispetto alle comunità locali che ospitano, soprattutto rispetto ai giovani, che sempre più numerosi abbandonano il campo. L’agricoltura biologica italiana, con i suoi numeri, la sua storia e la sua rete rappresenta di fatto il modello culturale e gestionale più collaudato per traghettare il sistema rurale italiano nella direzione delle comunità del cibo che fanno rete tra loro e possono dare finalmente concretezza a quella tanto decantata sovranità alimentare.

Concetto a cui è collegato il diritto al cibo sano, biologico e giusto che può migliorare la salute dei consumatori, ridurre i costi sociali legati al dilagare delle malattie cronico-degenerative connesse alla cattiva alimentazione e i costi ambientali dovuti al trasporto di mezzi tecnici e derrate delle lunghe filiere convenzionali.

In sintesi le proposte di ItaliaBio sono:

  • Rendere attrattivi i territori mediante sostegno diretto e indiretto delle comunità locali del bio e delle filiere corte, anche attraverso la creazione e il potenziamento di un canale preferenziale della rete dei distretti del cibo biologico a livello regionale;
  • Sostenere il consumo dei prodotti biologici con preferenza delle produzioni locali, a partire dalla attivazione su larga scala della refezione scolastica biologica e locale in tutte le scuole dell’obbligo, di ogni ordine e grado e sull’intero territorio nazionale;
  • Promuovere, attraverso le scuole e la collaborazione delle associazioni di produttori bio, la cultura del consumo alimentare biologico e di qualità;
  • Favorire, anche con gli aiuti diretti ai giovani, la nascita di nuovi punti vendita di prodotti biologici territoriali e delle reti locali di distribuzione dei prodotti biologici.

In altre parole si propone un cambiamento generale di paradigma, a partire dalla  nascita delle comunità del cibo in ogni realtà del territorio nazionale, piccola o grande che sia, per realizzare nella concretezza dei fatti quotidiani l’idea di economia territoriale Bio e Slow che consenta ai nuovi e giovani produttori di ampliare la prospettiva economica anche nel breve raggio e ai consumatori di rivedere nel cibo biologico quel “divino alito della terra” di cui talvolta si è smarrita la memoria.