Se la carne sintetica è la scienza, meglio coltivare la genuina ignoranza

Lillo Alaimo Di Loro (Italia Bio): il nostro Paese ha il dovere di evitare il divorzio tra cibo e territorio

Il Parlamento italiano il 16 novembre scorso ha detto no al cibo sintetico, interpretando il volere popolare e approvando ad ampia maggioranza la nuova legge che vieta di produrre e di mettere in commercio la carne cosiddetta “sintetica” o “coltivata”.
Per una volta la decisione della politica è allineata al generale sentire delle aziende, delle associazioni agricole e territoriali italiane e dei semplici cittadini che in tanti hanno firmato il “Manifesto in favore della cultura del cibo di qualità e contro il cibo artificiale e di laboratorio”.

Per Italia Bio non ci sono dubbi: il divieto alla carne sintetica è un caposaldo giuridico da difendere ad ogni costo, qualunque sia l’atteggiamento o la volontà dell’Unione Europea in materia. «Se questa è diventata la scienza, meglio coltivare la genuina ignoranza», sostiene Lillo Alaimo Di Loro, presidente di Italia Bio, che aggiunge: «l’Italia, forte della sua posizione di primato nel quadro del biologico europeo, ha il dovere di difendere il cibo, in questo caso la carne, dal rischio del suo “divorzio” con il territorio e dal rischio che l’agricoltore biologico venga estromesso dal suo ruolo di garante e protagonista del processo di produzione e di custode dei valori della civiltà della terra»

Per Italia Bio il cibo è libertà, perché esprime l’anima e la bellezza del paesaggio. È strumento di felicità perché nutre l’umanità e anima l’economia dei territori. La sua disarticolazione, anche solo culturale, dal territorio rappresenta l’inizio di una crisi antropologica irreversibile che si tradurrebbe nella resa incondizionata alla convinzione che anche il cibo, dopo l’acqua, possa essere controllato dalle lobby e concesso alle condizioni di una qualunque commodity.

Sulla stessa lunghezza d’onda Ignazio Garau, coordinatore della rete nazionale Bio Slow: «A chi pensa che la battaglia contro il cibo sintetico e di laboratorio sia una battaglia antiscientifica, che colloca l’Italia in una posizione di retroguardia e di svantaggio rispetto a altri paesi, noi diciamo, invece, che il primato ce lo vogliamo prendere nel tutelare e valorizzare il meglio della nostra agricoltura e della nostra tradizione alimentare e che vogliamo continuare a essere ai primi posti tra i luoghi da visitare e da ammirare per il saper vivere».
La contrarietà di Italia Bio al cibo sintetico non è certamente ideologica.

Piuttosto si basa sulla convinzione che questo non porta alcun vantaggio all’umanità. L’aumento di proteine animali, nel corso della nostra storia alimentare, più che ridurre la fame nel mondo, ha aumentato l’incidenza delle malattie cronico-degenerative. Ci sono poi mille ragioni per essere contrari alla ingegnerizzazione e industrializzazione del cibo. Ad iniziare dai rischi sanitari che la carne sintetica si trascina dietro.

Com’è noto l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms/Who), ha inserito le cosiddette carni lavorate o processate – salumi, salsicce, würstel, carni in scatola e simili – tra le sostanze cancerogene e la carne rossa tra quelle che potrebbero esserlo. Legittima, quindi, la domanda: «Quale rischio corriamo se la sua produzione avviene interamente in laboratorio? Sono in molti a ipotizzare – conclude Alaimo Di Loro – che potrebbe aumentare di molte volte quel rischio di cancerogenicità indicato per la semplice carne lavorata»

Per chi vuole approfondire…

Carne sintetica, se ti conosco ti aborro
Il processo di produzione della carne sintetica prevede che le cellule staminali ricavate da un animale vengono moltiplicate in un “bioreattore”, realizzando delle fibre muscolari che poi saranno “montate” con una sorta di stampante tridimensionale per ottenerne una forma verosimile di carne. Per moltiplicarsi di numero e di volume le cellule si nutriranno di una soluzione salina paragonabile a una sorta di “liquido amniotico” che i sostenitori di questa tecnica chiamano “siero di coltura animale o vegetale”. Si tratta di una soluzione che contenente sali di azoto, fosforo, potassio, altri macro e micro elementi e poi aminoacidi di derivazione animale o vegetale, ormoni, enzimi e quanto altro necessario alla moltiplicazione e all’accrescimento delle cellule. Poi, una volta ottenuta la poltiglia, di “muscolo” o di “grasso”, bisognerà aggiungere edulcoranti, coloranti, conservanti, antiossidanti, esaltatori di sapidità, ecc. giusto per dare un senso e un gusto alla “cosa”. E questo solo per arrivare al livello della “materia prima”. Stadi di lavorazione successivi la renderanno simile ad hamburger, fettine, involtini, e tanto altro ancora.

Consumo di carne e virtù della dieta mediterranea
A quanti dicono che la produzione di carne sintetica sia una scelta obbligata dall’aumento del consumo di carne nel mondo, ricordiamo il valore salvifico delle “diete” contro il potere fuorviante e devastante delle mode indotte dalla cultura iper-consumistica.
Ancora una volta ci viene in aiuto la buona dieta mediterranea, che tra tutte le altre diete maturate in seno al costruttivo rapporto tra popolazione e territorio, rappresentano in ogni contesto il modo migliore in termini salutistici e ambientali di alimentarsi.
Non a caso nella rappresentazione grafica della dieta mediterranea la carne rossa occupa i livelli più alti della piramide. Posizione che ne consiglia un uso limitato se non addirittura saltuario. Sono da preferire allora le proteine vegetali (piselli, lenticchie, fagioli, ceci, cicerchia, soia, cereali etcc..) da integrare con proteine di origine animale, come uova, pesce, carni bianche in generale e solo raramente da carne rossa.
È giusto aggiungere, però, che è meno “pericolosa” la carne rossa ottenuta in un contesto aziendale misto (cioè dove l’allevamento è semibrado), con un basso rapporto tra capi e superficie, con la possibilità di pascolare liberamente e integrare il pascolo con il foraggio e le granaglie, possibilmente di origine aziendale. In questi casi la presenza animale in azienda contribuisce ad arricchire i terreni aziendali di sostanza organica, utile a migliorare la fertilità dei suoli e a favorire la presenza e lo sviluppo di altre colture, in rotazione ampia e in armonia con la natura.

Italia Bio
Italia Bio è l’associazione che promuove l’agricoltura biologica non solo come “modello produttivo”, ma soprattutto come stile di vita.
Nata dall’iniziativa di alcuni produttori biologici costituisce un riferimento concreto e positivo da cui partire per sviluppare un nuovo modello di economia realmente sostenibile, sobria e conviviale, che garantisca la conservazione dell’ambiente e delle risorse naturali, la qualità della vita e la felicità delle persone.
L’associazione ha come obiettivo prioritario la promozione di un’economia nella quale il cibo biologico è l’evidenza della capacità di gestire e di conservare un territorio e le sue risorse, ovvero della capacità di fare agricoltura, ma anche di costruire nuove e più giuste relazioni sociali.